Il parco delle metamorfosi

L’idea e la prima realizzazione

Nella caldissima estate del 2017 un incendio distrusse diversi ulivi della nostra tenuta.

Era un’estate particolarmente torrida, tanto che quando chiamammo i vigili del fuoco ci risposero: «Verremo quando possibile, sta bruciando tutta la Puglia».

Per fortuna arrivarono abbastanza presto e riuscirono a domare l’incendio, ma alcuni alberi, purtroppo, erano irrimediabilmente perduti.

La sensazione di sconforto, nei mesi successivi, lasciò lentamente il posto alla voglia di rinascita, al desiderio pian piano divenuto costante di “trasformare” quella distruzione in qualcosa che desse nuova vita ai tronchi oramai esanimi ed anneriti.

“Trasformare”: questa parola continuava a ronzarci nella testa finché non ci condusse al concetto classico di trasformazione, alla “metamorfosi”, a quel connubio di uomini, dei e natura che ci era sempre sembrato tanto presente nel paesaggio intorno a noi.

Fu così che pensammo di far rinascere quei legni anneriti rendendoli narratori di storie di metamorfosi, ispirandoci principalmente al loro più famoso cantore, Ovidio.

Conoscevamo un artista scultore del legno, Paolo Ricchiuti, e con lui abbiamo passato lunghi pomeriggi ad osservare gli ulivi bruciati finché nella nostra mente ciascuno di essi ha preso lentamente forma.

In quei giorni i nostri racconti si scontravano con le difficoltà tecniche di realizzazione ma ogni tanto mito e legno si fondevano in un’idea di realizzazione e Paolo, entusiasta, ha potuto iniziare a lavorare.

C’è un punto, nei nostri terreni, dove si sente l’eco e proprio lì c’era un tronco bellissimo, bruciato e biforcuto. Paolo Ricchiuti lo guardò attentamente e ci disse: qui è possibile realizzare due volti; fu un attimo ed esclamammo: «Eco e Narciso!».

Eccolo: Narciso, sdegnato, rifiuta Eco.

Narciso ed Eco, il nostro racconto:

Ovidio, Metamorfosi, III, 339-401

NARCISO ED ECO

La bellissima ninfa Lirìope partorì un bambino bellissimo, che sin dalla nascita suscitava amore, e lo chiamò Narciso.

Un giorno Narciso, ormai cresciuto, fu visto dalla ninfa Eco. All’epoca Eco aveva ancora un corpo ma non poteva parlare liberamente, riusciva solo a ripetere le ultime parole pronunciate da altri e ciò era stato causato dalla rabbia di Giunone.

Eco, infatti, usava trattenere Giunone con lunghi discorsi per impedirle di sorprendere sui monti le ninfe stese in braccio a Giove.

Quando Giunone se ne accorse, disse: «Di questa lingua che mi ha ingannato potrai disporre solo in parte: ridottissimo sarà l’uso che tu potrai farne». E coi fatti confermò le minacce: da quel momento Eco non poté più parlare liberamente e prese a duplicare i suoni ripetendo solo l’ultima delle parole pronunciate da altri.

Ora, quando Eco vide Narciso vagare in campagne solitarie, se ne infiammò e ne seguì le orme di nascosto.

Quante volte avrebbe voluto parlargli dolcemente e rivolgergli tenere preghiere, ma la sua natura glielo impediva, non le permetteva di tentare; tuttavia, e questo le era permesso, era pronta ad afferrare i suoni, per rimandargli le sue stesse parole.

Narciso ad un certo punto urlò: «C’è qualcuno?» ed Eco: «Qualcuno» rispose.

Stupito, lui cercò con gli occhi in tutti i luoghi, gridando a gran voce: «Vieni!»; e lei ripeté: «Vieni!».

Lui si guardò intorno, ma non si mostrò nessuno. «Perché», chiese, «mi sfuggi?», e quante parole disse, altrettante ne ottenne in risposta.

Ingannato dal rimbalzare della voce, esclamò: «Qui riuniamoci!», ed Eco che a nessun invito mai avrebbe risposto più volentieri: «Uniamoci!» ripeté. E decisa a far quel che aveva detto, uscendo dal bosco, gli venne incontro per gettargli, come sognava, le braccia al collo.

Lui fuggì e fuggendo: «Togli queste mani, non abbracciarmi!» gridò. «Possa piuttosto morire che darmi a te!». E lei nient’altro riuscì a rispondere che: «Darmi a te!».

Respinta, Eco si nascose, coprendosi di foglie per la vergogna il volto, e da allora vive in antri sperduti.

Il tormento incessante la fece deperire e il suo corpo si dissolse nell’aria.

Non restarono che voce e ossa: la voce esiste ancora; le ossa, dicono, si mutarono in pietre.

Prova a chiamarla, Eco, in questo luogo colmo di pietre: se ne ha voglia, ti risponderà.